Articolo a cura di:
Annalisa Murolo, Psicologa Psicoterapeuta
Emozioni e Psiche, Centro di Psicoterapia Roma Prati
- Come nasce e si sviluppa il senso di Sé?
- Rispecchiamento e Falso Sé nella relazione adulto-bambino
- La costruzione dell’autostima
- Alla scoperta del Vero Sé

Senso di vuoto, insoddisfazione verso se stessi e nelle relazioni con gli altri, vissuti di vergogna, senso di colpa, profonda insicurezza, sensazione di indossare una maschera, bassa autostima, difficoltà nel dire no e ad esprimere il proprio pensiero, bisogno dell’approvazione altrui e percezione degli altri come giudicanti: quelle appena citate, sono alcune tra le più frequenti espressioni utilizzate per descrivere il proprio disagio e malessere dai pazienti che incontriamo nella stanza di terapia.
La paura di esporsi, di essere visti e di non essere accettati è ciò che caratterizza le persone che hanno fondato il senso di Sé sulle aspettative degli altri, rinunciando ai propri bisogni e desideri perdendo così se stessi e la possibilità di sviluppare una personalità autonoma e autentica.
Parliamo del Falso Sé che può essere definita una modalità patologica dello sviluppo dell’identità le cui origini vanno rintracciate nella storia della persona e che si caratterizza per un rigido adattamento alle richieste dell’ambiente, per uno scarso contatto con se stessi, per il reprimere bisogni ed aspirazioni personali, per la difficoltà nel riconoscere le proprie emozioni e nell’adottare una modalità compiacente, che vede nell’aderire alle aspettative altrui l’unica possibilità di essere riconosciuti e accettati. Comprendiamo dunque che il Falso Sé ha in un certo senso una funzione protettiva poiché ci consente di preservare relazioni affettive importanti dalle quali ci sentiamo dipendenti, pagando però il prezzo di perdere noi stessi e di sperimentare una intensa sofferenza psicologica.
1.1 Come nasce e si sviluppa l’immagine di Sé?
Grazie alla ricerca e ai numerosissimi contributi teorici della psicoanalisi, della psicologia dell’età evolutiva e delle neuroscienze , oggi sappiamo che lo sviluppo dell’ immagine di Sé nel bambino necessita del riconoscimento da parte dell’adulto che se ne prende cura e che le prime relazioni affettive hanno un ruolo determinante nello strutturarsi dell’identità e dell’autostima.
L’immagine di sé può essere definita come quella rappresentazione che ognuno ha di sé stesso e da cui prende forma il senso di identità. Tale rappresentazione si costruisce lentamente, sin dai primi giorni di vita, ed è composta da elementi di natura corporea, emotiva, cognitiva e relazionale. Un ruolo fondamentale è da attribuire agli scambi interattivi e ripetitivi che avvengono tra adulto e bambino che danno origine gradualmente a degli schemi attraverso i quali si crea una sempre più complessa rappresentazione di sé, dell’altro, della realtà e delle relazioni. Tali schemi vengono poi inconsapevolmente interiorizzati per divenire una lente attraverso la quale diamo forma alla percezione di noi e al modo in cui entriamo in relazione con l’altro.
Facciamo un esempio per comprendere meglio cosa intendiamo. Ogni genitore ha il proprio modo di rapportarsi con il bambino e di rispondere alle sue richieste, quando ad esempio ha fame, piange, ricerca il contatto o il conforto. Questi comportamenti agiti dall’adulto diventano familiari per il bambino che crea delle aspettative nei confronti dell’altro dal quale si aspetta appunto il riproporsi di quel determinato comportamento. Laddove quindi il genitore risponde adeguatamente ai bisogni del figlio, quest’ultimo potrà sviluppare delle credenze stabili su di loro come presenti, accessibili e partecipi, e su se stesso come degno di amore e cure. Viceversa, laddove il genitore non riesca a cogliere le richieste del bambino, o non sia disponibile, questo genererà nel bambino un senso di insicurezza e di sfiducia nell’altro. Dunque, quanto più la relazione di accudimento è caratterizzata dalla capacità dell’adulto di sintonizzarsi sugli stati emotivi del piccolo, e dal saper adeguatamente rispondere ai suoi bisogni fisici ed emotivi, tanto più il bambino acquisirà una immagine positiva di sé e dell’altro come riferimento affidabile. Questi primi scambi relazionali con le figure di riferimento e il senso di sicurezza, o insicurezza, che il bambino sviluppa in questa fase della vita, costituiscono la base per la costruzione di una buona autostima e per la futura capacità di stabilire relazioni affettive sane e soddisfacenti.
1.2 Rispecchiamento e Falso Sé nella relazione adulto-bambino
Abbiamo visto come il bambino comincia a riconoscersi come individuo quando ha una risposta da parte dei genitori e per la psicoanalisi inizialmente è proprio il “volto” della madre a fornire quei segnali di approvazione e placet fondamentali per l’istaurarsi di un dialogo di rispecchiamento. “In questa corrispondenza fra madre e bambino ha origine e si produce la conoscenza di sé” (Garofalo, 2006). Si tratta di un reciproco rispecchiamento e riconoscimento che porterà in seguito allo sviluppo della personalità autonoma del bambino.
Come scrive Garofalo se, nella relazione con l’adulto, il bambino “si è sentito rispettato nella propria soggettività proprio mentre era oggetto di cure, allora diventa capace di riconoscersi come soggetto autonomo” (Garofalo, 2006).
Sintonizzarsi sui bisogni del bambino, riconoscendolo per ciò che realmente egli è, cercando di limitare proiezioni, idealizzazioni, inibizioni e aspirazioni è una operazione molto difficile poiché presuppone il raggiungimento di un livello profondo di consapevolezza da parte del genitore rispetto alla propria storia. Proiettare inconsapevolmente sull’altro bisogni inconsci, aspettative o emozioni è infatti una dinamica molto frequente che rende difficile per un bambino diventare qualcosa di diverso da ciò che gli altri, i genitori, si aspettano da lui (Garofalo, 2006). Il riconoscimento e l’approvazione da parte di un genitore è di “vitale” importanza, nel senso letterale del termine, per un bambino che dipende per tutto e in tutto da chi si prende cura di lui.
Il noto pediatra e psicoanalista Donald Winnicott ci consegna una immagine molto suggestiva e vera quando scrive che i bambini scrutano il volto della madre nel tentativo di predirne l’umore proprio come gli adulti studiano le condizioni metereologiche (Winnicott, 1971).
Se pensiamo a quanto sia fondamentale per la sopravvivenza del bambino il legame con la madre e il padre, non sarà difficile intuire perché, per salvaguardare tali legami, il piccolo adatterà l’organizzazione della sua esperienza a quella di chi lo accudisce, accettando compromessi in cambio di considerazione, attenzioni e amore. Questo processo, se protratto nel tempo, porterà il bambino allo sviluppo di un Falso Sé compiacente per sentirsi finalmente riconosciuto (Winnicott, 1965). In altre parole, quando il bambino percepisce il proprio genitore fragile o bisognoso allora farà in modo di conformarsi ad esso per essere amato e accettato; imparerà ad “essere falso” prima ancora di avere anche solo una possibilità di sentirsi vivo (Winnicott, 1965).
Karen Horney parla di auto-alienazione o auto-inganno per identificare quel processo che porta alla costruzione di una personalità non autentica e a quel tradimento di noi stessi di cui parla anche Alice Miller, che porta il bambino a dimenticarsi della sua vera natura per compiacere gli altri (Miller, 2008). Proprio questo, secondo l’autrice, è il prezzo che il “bravo bambino” deve pagare in cambio dell’amore, del consenso e della convalida di sé; è come se gli venisse cucito addosso una veste, una maschera che quasi sempre diventerà sempre più stretta nel corso della crescita e nella migliore delle ipotesi porterà ad uno strappo, una rottura tramite il dirompente sopraggiungere di sintomi come ansia, attacchi di panico o alcune forme di depressione. Questi segnali devono essere letti e interpretati come il grido di aiuto del nostro Vero Sé che vuole essere ascoltato, liberandosi di quella maschera di “bambino perfetto” diventata disfunzionale per l’evolversi della persona.
1.3 La costruzione dell’autostima
Abbiamo visto come il ri-conoscimento di sé stessi nello specchio multiforme dell’altro e la possibilità di sperimentare amore e rispetto per noi stessi, per i nostri bisogni, aspirazioni e sentimenti, è un processo che si sviluppa all’interno della relazione con l’altro fin dai primi momenti di vita e che pone le basi per la costruzione di una buona autostima. Se questo prezioso rispecchiamento è stato carente o inadeguato (pensiamo a genitori ipercritici, svalutanti o che a causa di un proprio disagio emotivo hanno difficoltà nel relazionarsi in maniera empatica con il figlio) l’immagine che si forma di sé sarà distorta a causa dello “specchio deformante” in cui per anni ci siamo guardati dando luogo a vissuti di inadeguatezza, alla sensazione di non essere all’altezza degli altri e di non avere capacità e risorse. Ciò che assumiamo come idea di noi, così come il valore che ci diamo, saranno dunque significativamente condizionati da quanto l’adulto di riferimento (lo specchio) ci rimanderà.
Il primo passo per ridefinire l’immagine di sé e migliorare la propria autostima consiste nel confrontarsi con le convinzioni e le credenze distorte che abbiamo di noi, acquisendo pian piano la consapevolezza che tali idee sono espressione delle nostre ferite e non sono basate su dati di realtà. Abbiamo cioè creduto a quanto ci hanno fatto vedere per l’impossibilita di mettere in discussione l’affidabilità dei nostri genitori che, seppur involontariamente, non hanno saputo offrirci un adeguato riconoscimento. Mettere in discussione l’immagine negativa di noi comporta ripercorrere la nostra storia rinarrandola e ripensandola in modo critico con gli occhi di un adulto che, alla luce delle nuove consapevolezze, potrà distaccarsi da quell’immagine distorta che altri hanno proiettato su di lui e nella quale si era identificato. La stima che abbiamo di noi può dunque modificarsi riscrivendo la nostra storia e percependoci come soggetti attivi capaci di poter sempre migliorare riscoprendo capacità e risorse inespresse, anche grazie all’aiuto di un adeguato sostegno psicologico.
1.4 Alla scoperta del Vero Sé
Quanto più ci siamo discostati dal nostro Vero Sé, tanto più sarà arduo e faticoso riuscire a sentire e comprendere quali siano i nostri veri desideri, bisogni ed emozioni. Soffermarsi a dare ascolto a emozioni e sentimenti troppe volte messi a tacere per la paura di perdere l’amore degli altri diventa fondamentale, dunque, per ritrovare un contatto con sé stessi; quel contatto senza il quale è molto facile vedere accumularsi sentimenti di frustrazione e insoddisfazione che non fanno altro che alimentare una bassa considerazione di noi stessi.
La psicoterapia rappresenta una nuova grande opportunità per iniziare un lavoro di libera espressione di noi e delle nostre emozioni attraverso la sperimentazione del contenimento sicuro del processo di cura. Carl Rogers, uno dei padri della psicologia umanistica, ha individuato nell’empatia, nell’autenticità e nell’accettazione incondizionata le tre condizioni fondamentali affinchè si crei quel clima di fiducia indispensabile all’interno della relazione terapeutica necessario per allentare la rigidità delle difese del paziente ed aiutarlo a riconoscere i propri sentimenti fino ad allora soffocati e tenuti nascosti perché considerati inaccettabili.
Paziente e terapeuta dovranno co-costruire una rilettura delle esperienze emozionali del paziente affinchè si crei quella comprensione empatica necessaria ad una co-evoluzione nel percorso di cura.
In questo modo all’interno della relazione terapeutica lentamente si conquista maggiore spontaneità e libertà, riuscendo a dare nuovi significati a vecchie esperienze e acquisendo progressivamente maggiore creatività anche nella vita di tutti i giorni e nella risoluzione dei problemi.
Nel momento in cui sarà possibile percepirsi come protagonista della propria esistenza, miglioreranno la stima e la fiducia in sé, la capacità di stare da soli e di vivere relazioni affettive soddisfacenti. Questo passaggio evolutivo sarà possibile solo all’interno di una relazione veramente autentica in cui il paziente non è più un oggetto ma sente di poter essere riconosciuto finalmente come un soggetto con i suoi sentimenti, ambiguità, contraddizioni, emozioni ed in un primo momento anche con il suo Falso Sé che per tanto tempo lo ha protetto facendolo sentire sicuro ed adeguato. Come una madre accetta incondizionatamente il suo bambino per quello che è, così il terapeuta accoglierà tutte le parti del paziente e anche quelle emozioni negate e rimosse perché considerate meno nobili come la rabbia, la paura, la gelosia e la tristezza. Il percorso terapeutico diviene così una seconda opportunità per il paziente, un’esperienza emotiva correttiva che consente di rompere lo schema implicito appreso dell’aderire alle richieste altrui lasciando spazio all’espressione della propria autenticità e dei propri bisogni. Il recupero del Vero Sé in psicoterapia passa allora, come scrive Diego Garofalo, per questo fondamentale rispecchiamento e “riconoscimento di sé in uno specchio finalmente non deformante né invalidante che permette il contatto con tutte le parti di sé, positive e negative, l’accettazione dei limiti soprattutto in relazione al fantasioso autoingrandimento della propria immagine” (Garofalo, 2006).
Bibliografia
Bertolini, M., Neri, F. Fantasie consce e inconsce, identità personale e genitoriale, in A. V. Fantasie dei genitori e psicopatologia dei figli, Borla, 1989.
Garofalo, D. Riconoscimento e Psicoanalisi, Borla, Roma, 2006.
Horney K. Nuove vie della psicoanalisi, Bompiani, Milano, 1959.
Miller, A. Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé. Riscrittura e continuazione, Boringhieri, 2008.
Siegel, D. J., Hartzell, M. Errori da non ripetere: come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori, Raffaello Cortina, Milano, 2016.
Winnicott, D. W., Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. A. Armando, Roma, 1965.
Winnicott, D. W., Gioco e realtà. A. Armando, Roma, 1971.